Tra il bartender classico, il mixologist tecnico e la nuova ondata “ 2.0” Da che parte stai?
C’è chi ancora si presenta con la giacca stirata e il sorriso scolpito, chi ti serve 110 ingredienti a memoria senza dosatore, e chi ha il banco mezzo vuoto ma dietro ha un laboratorio degno di uno chef stellato.
Sono le nuove fazioni del bar moderno.
E sempre più spesso non si tratta solo di fare cocktail, ma di scegliere un posizionamento culturale.
Allora la domanda è semplice:
Oggi, dietro a un bancone… cosa conta davvero?
Il bartender classico: eleganza, rigore e un po’ di rigidità
Camicia bianca. Giacca nera. Cravatta stretta.
Tecnica impeccabile, savoir-faire, gesti precisi.
Ti serve un Martini come fosse un rito religioso. Ti parla di scuola classica, di storia, di miscelazione come arte nobile.
Ma diciamolo: a volte sembra più un maggiordomo inacidito che uno che ama stare con le persone.
“Se non sai cos’è un Manhattan non meriti di bere.”
Per alcuni è garanzia di qualità.
Per altri, è solo un palo nel culo in guanti bianchi.
Il mixologist estremo: tecnica, piroette e ingredienti da laboratorio
Pipette, distillati homemade, bitter invisibili, fermentazioni, garnish commestibili.
Il drink è un’opera d’arte, ma per capire cosa stai bevendo ti serve una guida turistica.
La performance è impressionante: free pouring perfetto, memoria da computer, bottiglie impilate come acrobazie circensi.
Il cliente guarda, applaude, beve… ma spesso si chiede:
Era buono? Non lo so, ma era figo.
Per alcuni è avanguardia.
Per altri, è spettacolo fine a sé stesso.
La nuova guardia: pre-batch, semplicità e spirito da “oste”
Negli ultimi anni, si sta facendo strada un nuovo approccio:
Drink lavorati prima, preparazioni più simili alla cucina che al bar, pochi fronzoli, ingredienti chiari, ricette pulite.
Tanta ricerca dietro, ma nessuna voglia di metterla in mostra.
Il bartender qui torna a essere oste: ti guarda in faccia, ti serve qualcosa di buono, e non te lo spiega come se fosse una conferenza TED.
Il bancone è rilassato. Il ritmo è più umano. Il drink è pensato per essere goduto, non esibito.
Chi ha ragione? Nessuno (e forse tutti)
Il punto non è dire chi è meglio.
Ogni stile ha senso se fatto con consapevolezza.
Ma forse vale la pena farsi una domanda semplice:
Beviamo per sentire qualcosa… o per farci vedere mentre lo facciamo?
Il bar è un luogo sociale, o un palcoscenico?
Oggi il pubblico è più curioso, ma anche più confuso.
Cerca qualità, ma anche contatto umano.
Vuole sapere cosa beve, ma non vuole sentirsi stupido.
E allora, forse, il miglior bartender non è quello più tecnico, né quello più elegante.
Ma quello che ti fa stare bene mentre bevi qualcosa che ti piace.